L
La pittura di Narciso Bonomi obbedisce ad alcune regole rappresentative in cui si possono cogliere e privilegiare di volta in volta ordini diversi di significati generali, a seconda della chiave di lettura di, cui ci si serve per entrare in rapporto comunicativo con l'opera. Più precisamente, la pittura di Bonomi può essere letta, da una parte, cogliendone, oltre il simbolo, i passaggi e gli itinerari di una dimensione esistenziale appena adombrata dalla mediazione operata dal fantastico: essa assume così il significato di una sorta di «diario di viaggio» dell'artista attraverso le cose, la società, l'ambiente. Un «diario» che traspone puntualmente la scelta di posizione di Bonomi all'interno delle cose, con tutta l'ironia, la partecipazione e il distacco critico che caratterizza una cosciente adesione alla realtà in cui l'artista vive e si trova ad operare. Qualora invece si metta l'accento sul sistema simbolico di cui si serve il pittore per mediare la propria posizione individuale, ci si può lasciar portare dal flusso narrativo che unifica, al di là dei diversi momenti, l'opera di Bonomi.
Questo, del resto, diviene un tratto caratterizzante della sua operatività: si può addirittura dire che questa disponibilità al racconto costituisca il dato specifico della sua opera, tanto da seguire talora un proprio discorso in cui la logica narrativa trae i propri fondamenti dalla dialettica interna che i «personaggi» conducono con tutta autonomia e libertà rispetto agli elementi esterni di riferimento concretati dal simbolo.
'Bisogna a questo punto precisare che ciò può avvenire proprio in virtù dell'alfabeto narrativo di cui Bonomi si serve.
Un alfabeto estremamente ricco e variato, nonostante la sua apparente unità. Un alfabeto che si giova continuamente di un processo di spiazzamento che tiene intenzionalmente in sospeso la possibilità di riconoscimento e di identificazione univoca delle forme. I personaggi e gli spazi di Bonomi, infatti,
sono costituiti come una sorta di assemblaggio di forme in cui non è più possibile una distinzione, ad esempio, fra organico ed inorganico, fra naturale e meccanico, ma di cui si può seguire il ritmo narrativo solo dando come oggettiva l'esistenza di questa naturale ambiguità rappresentativa. Questa sorta di spiazzamento, ci preme qui sottolinearlo, è lontano, ad esempio, dalle consimili operazioni svolte dalla tradizione surrealista, in quanto di questa non condivide il criterio di estraniamento totale dell'immagine nell'ambito dell'onirico.
Per contro è piuttosto assimilabile — pur con le dovute distinzioni — (si veda a questo proposito il saggio di Renzo Margonari contenuto in questo sito) ad un atteggiamento mentale che procede da certe scelte della cultura Pop.
E ciò non solo per l'evidente utilizzazione di un segno che non può non risalire al linguaggio del fumetto (anche se, si noti bene, l'uso è assai diverso da quello operato, ad esempio, da un Lichtenstein), ma soprattutto per la tendenza a mettere in crisi le strutture logiche della comunicazione mediante l'artificio dello spiazzamento in una ottica di ironia (e autoironia) e di criticità, nei confronti della narrazione stessa.
Nel sistema narrativo messo in opera da Bonomi concorrono del resto altre componenti ugualmente determinanti.
Fra queste un generale senso del fantastico che — anche qui distante da un atteggiamento surrealista — costituisce il tessuto qualificante della narrazione: il fantastico, inteso come forma sospensiva e allontanante dell'impianto logico della narrazione, produce nelle opere di Bonomi una sorta di atmosfera in cui si stemperano le allusioni e i simboli della narrazione.
Per chiarire ulteriormente il senso di questo processo, bisogna qui sottolineare come le strutture del racconto si giovino, nel processo di allontanamento, di componenti diverse che vanno dall'ambiguità di cui si è detto, alla presenza costante di una simbologia interna che può far riferimento alla categoria del magico (con tutte le implicazioni di mistero e di tensione che ciò comporta), fino all'utilizzazione della storia e della leggenda - tradotte esse stesse mediante l’ironia - in una sorta di dimensione di favola; che può essere di volta in volta crudelmente sarcastica, oppure resa ironicamente «poetica».
Basterà ricordare a questo proposito due cicli di dipinti come le Storie di Santa Giovanna d'Arco o la serie «1529» (questi ultimi prendono spunto dalle vicende delle civiltà Azteche); ma, del resto, non ne sono immuni neppure i dipinti della serie degli Esoterismi, di cui avremo comunque modo di parlare fra poco.
Qui va sottolineato ancora una volta come questa dimensione del fantastico si giovi delle strutture linguistiche del fumetto: strutture che di per se stesse producono un allontanamento narrativo o, meglio, mediano, per le proprie caratteristiche di semplificazione dell'immagine, l'immediatezza realistica di ciò che si racconta, per evidenziarne invece il carattere stesso di racconto.
Per verificare comunque il significato delle scelte linguistiche operate da Bonomi è essenziale ripercorrere l'itinerario della sua attività, cogliendo il senso dei mutamenti e delle precisazioni che in essa si vanno via via realizzando.
A partire dalla fine degli anni Sessanta Bonomi pone le basi per quello che sarà lo sviluppo successivo della sua pittura.
E' il momento delle Isole e degli Iceberg, in cui vengono posti già alcuni degli elementi che troveremo sviluppati (talora con significati diversi) nelle opere successive; fra essi una prima acquisizione del segno fumettistico e lo sviluppo di una immagine di riferimento simbolico a situazioni esistenziali: elementi, questi, di cui abbiamo già avuto modo di parlare.
E' tuttavia ancora in via di definizione la struttura del racconto. I dipinti di questi anni rappresentano forme in cui prevalgono i dati magmatici e di movimento (la simbologia di tipo esistenziale può essere del resto trasparente).
Tuttavia, all'interno di queste immagini vanno comparendo forme latamente organiche che non giungono ancora a definirsi. Ci troviamo così in una sorta di ipotesi di racconto in cui 1'«isola» (e più generalmente il caos da cui essa appena si distingue) costituisce il campo possibile per l'azione di questi embrioni organici, non giunti ancora alla lucidità di personaggi: vengono per contro isolati ad accentuarne la oggettiva estraneità, tuttavia presente ed incombente.
E' il caso, ad esempio, di dipinti come Iceberg e presenze, Icerberg e cose, entrambi del 1969.
E' forse inutile rilevare qui ancora come questa immissione di forme non omogenee rientri nel processo di spiazzamento e di sospensione dell'immagine di cui si diceva all'inizio. A questa fase è immediatamente conseguente quella rappresentata da un dipinto come Ritorno all'isola (unico documentato qui di una serie di dipinti con analoghe problematiche), dove è ormai in corso un inizio di racconto «ambientato» nello spazio possibile dell'isola. I personaggi vanno identificandosi, in una dialettica moderatamente ironica fra l'autore, le presenze ed i loro antagonisti.
Siamo ancora nell'ambito di una constatazione delle presenze e del loro sforzo di conquistare lo spazio; sforzo contrastato da apparizioni di segno opposto: forme geometriche, queste, che si contrappongono all'avvento di quelle pur latamente organiche.
Anche in,questo caso al di là del racconto la matrice simbolica è chiara attraverso le equazioni geometrie/razionale e forme organiche/fantastico.
Contrasto che non può non collocarsi nell'ambito di un'ironia e di un moderato distacco dalla situazione culturale di quegli anni parzialmente attestata (almeno per i fenomeni più correnti) nella rivisitazione dell'astrattismo geometrico.
Sempre in questa ottica si pone il voluto disinteresse per una definizione sul piano della qualità formale dell'immagine che si propone piuttosto nell'ambito di segni immediati fino a giungere talora all'approssimazione.
Tuttavia l'accostamento può essere strumentale e non risolutivo nel complesso dell'attività di Bonomi. Ciò che Va invece sottolineato è lo svilupparsi esplicito di una esigenza narrativa, di cui il rapporto fra le diverse apparizioni non è che l'anticipazione di un racconto più articolato.
Questa volontà narrativa si precisa con chiarezza nel poco più tardo ciclo delle Storie di Santa Giovanna d'Arco, del 1970. Lo spunto della vicenda di Santa Giovanna permette a Bonomi di costruire una storia in sequenza in cui si combinano diversi motivi.
Innanzitutto una divertita ironia nei confronti della Storia, che si attua trasformando lo spazio di azione del personaggio e il personaggio stesso in qualcosa di scoperta teatralità. Una teatralità tuttavia che è in bilico fra un palcoscenico da guitti e un dato di leggenda e di magia che non può non ricordare (anche per la sua irrealtà) le sacre rappresentazioni medievali.
In questo clima evocativo Santa Giovanna assume le vesti di una sorta di eroe negativo o, meglio ancora, di una specie di Superman guitto c pasticcione, e allo stesso tempo, di saltimbanco triviale e sciancato, comunque a pieno diritto protagonista.
Si veda a questo proposito Annotazioni viaggio di Santa Giovanna d'Arco verso Rouen. Scopertamente ironico e intenzionalmente triviale è del resto un dipinto come Rapporti segreti e antistorici fra Carlo VII e Santa Giovanna d 'Arco prima dell'accusa di stregoneria ed eresia, mentre la messa in crisi della logica della leggenda (se pure essa era conservata in altri dipinti) e la sottolineatura della teatralità della stessa non senza una certa tendenza al magico, si evidenziano nello spiazzamento cronologico operato nel dipinto «Alla vista di Santa Giovanna d'Arco giovane artista milanese subisce un incidente nei pressi dell'Arena di Milano». Questo ultimo dipinto è del resto uno di quelli in cui più evidentemente nel segno, oltre che nel tipo di immagine, è mediata non solo l'esperienza del fumetto ma anche quella delle ascendenze Pop.
La tendenza introspettiva un'altra delle componenti presenti nell'opera di Bonomi affiora già nella serie di Santa Giovanna attraverso un microcosmo di forme e di segni che costituiscono il background della storia: forme e segni non certo leggibili in termini logici o comunque narrativi, ma che contribuiscono per contro a spostare la storia stessa in un'aura complessa ed indecifrabile in bilico fra il magico, il fantastico e la leggenda (quasi una sorta di accompagnamento cabalistico della storia stessa).
Tuttavia è con il momento dei cosiddetti Esoterismi che tale tendenza si fa motivo determinante e qualificante del dipinto. Questa serie di opere è compresa cronologicamente fra la fine degli anni Sessanta e il 1971. In essi, venuta in parte meno l'istanza narrativa esplicita che connotava i dipinti precedenti, si sviluppa l'esigenza di una evocazione libera, di proiezioni di visioni dall'interno, non più possibili in un quadro narrativo pur moderatamente compiuto. Si può dire del resto che nel libero flusso evocativo le immagini si liberano ancora ulteriormente da una struttura logica, creando un mondo di forme continue - senza più cesure fra organico ed inorganico, fra naturale e meccanico - che già traspariva nelle rappresentazioni di Santa Giovanna.
E' difficile qui chiarire compiutamente i significati delle immagini degli Esoterismi, proprio per il loro porsi, come si diceva, «all'interno», in un processo di liberazione del fantastico, da una parte, e di rifiuto di razionalizzazione, dall'altra.
Si può piuttosto dire che si forma con questi dipinti un nuovo, soggettivo, linguaggio del possibile, in cui il contraddirsi delle delle forme, il loro maturare in sé stesse ha il significato – latamente - di un viaggio nell’allucinato, in cui ogni cosa ed ogni rapporto è nell’ambito del verosimile: e ciò attraverso una sorta di fantasticare che propone la tipica sospensione dei pensieri che si formano come altro da sé.
Questo distacco mentale è peraltro reso possibile anche dall'evoluzione del segno che Bonomi opera in questi dipinti: un segno curato come non mai prima, quasi calligrafico, che costituisce il legante di una vicenda di forme dai colori delicati, quasi rarefatti, ben diverse dall'aggressività disegnativa che caratterizza. ad esempio, il ciclo di Santa Giovanna.
Questo mondo di simbologie astratte, mediate da un allontanamento che induce a pensare ad un sistema quasi fantascientifico, ma appunto tutto liberato sul piano di una fantasia interiore, vuole essere d'altronde allo stesso tempo una sorta di giudizio ideologico sulle cose, sulla gratuità ed apparenza esterna dell'organizzazione di certa realtà in cui ci si trova a vivere.
La fase successiva dell'opera di Bonomi è, se così si può dire, un ritorno sulla terra, con forse maggiore consapevolezza ideologica e, allo stesso tempo, con una maggiore aggressività nel condurre il discorso, nell'individuare simbolicamente le contraddizioni del reale. All'ironia divertita della prima fase succede l'identificazione angosciata di presenze incombenti e mostruose, sorta di totem o di macchine campeggianti sulla descrizione del reale, come avviene, ad esempio, in Totem (1971), Macchina dipinta (1971); oppure come si concretano — con una angoscia di immagine appena mitigata da una descrittività formale che trasporta nuovamente il discorso nell'ambito del fantastico in opere come L'uccello sputafuoco (1972), Millepiedi al tramonto (1972); od anche in un dipinto come Sulla strada (1972), in cui la presenza di queste immagini a cavallo fra macchina e mostro si fa più decisamente incombente ed angosciante attraverso il proprio sovrastare la scena come doppia presenza, quasi autoriflessa.
Questo carattere di angoscia, che si pone proprio per la contraddittorietà della presentazione del racconto, oltre che naturalmente per la tendenza simbolica verso il mostro delle forme, si sviluppa ulteriormente nei dipinti poco più tardi delle Costellazioni.
Qui il clima di una ricostruita fantascienza - si vedano, ad esempio, i due dipinti dal titolo Alla ricerca della porta d'argento (1972), che fanno riferimento ad alcune esperienze letterarie dell'autore nella sua asetticità da tavola astrologica, sottolinea con maggiore precisione questa dimensione angosciosa in cui orrido, magia, scienza e favola si confondono in una trama narrativa unificante: altrettanto significativi del resto in questo senso sono due opere dal titolo Costellazione, eseguite nel 1972.
Analogo carattere di unione di elementi tematici e formali così diversi, con in più l'ironia dell'impostazione da tavola scientifica (ironia, in quanto ciò che si presenta come oggettivo è l'ambiguità del mostro), si ripropone tuttavia con maggiore distacco nella serie di dipinti del ciclo ...sull'evoluzione, del 1972.
La violenza dell'immagine fantastica si attenua in parte, mediata ancora dall'ironia e dal recupero progressivo del racconto, nella successiva attività di Bonomi, a partire da dipinti come Un figlio dei fiori (1973), Piscina (1973), fino ad opere in cui la presenza angosciante tende a concretarsi nella formulazione di veri e propri personaggi.
Personaggi, peraltro, non più intesi come autori di storie come avveniva nella serie di Santa Giovanna bensì come apparizioni, sorta di fantasmi furtivi della mente: dal «lanzichenecco», protagonista di diversi dipinti, come Un lanzichenecco e un Mondrian (1973), Lanzichenecco in un museo d'arte contemporanea (1973), fino al Ritratto di giovane (1973) quasi una sorta di proiezione in chiave di autoritratto dell'incubo. Presenze incombenti sono del resto anche i protagonisti delle storie raccontate da dipinti come I visitatori della notte ci visitano anche di giorno (1973) oppure Vuole entrare? (1973).
In queste opere il segno di Bonomi si fa sempre più complesso, a costruire personaggi in cui sempre meno si può cogliere quell'antagonismo iniziale di organico/inorganico.
Ormai la macchina è entrata, attraverso il segno, nel personaggio, è divenuta l'appendice naturale del mostro.
E' ormai imminente il definitivo recupero del racconto, che tuttavia, per le mediazioni allontananti operate dalle esperienze precedenti, si fa più distaccato e allo stesso tempo più crudo.
Ci riferiamo a questo proposito alla serie di dipinti che prendono in prestito la trama narrativa dalla leggenda e dalla storia di civiltà obsolete quali quelle dei Maya e degli Aztechi.
Il mostro si ribalta, seppure non in termini di trasposizione così immediata (in quanto conserva una più generale dimensione simbolica) nel personaggio del conquistatore.
Il nucleo di queste storie è costituito dal ciclo «1529», che raggruppa numerosi dipinti eseguiti fra il 1974 ed il 1976. Qui il racconto si articola attraverso due sistemi emblematici di rappresentazione: da una parte la violenza rappresentata da figure di conquistatori meccanizzati e trionfanti nella loro avanzata cieca (non a caso sono rappresentati nella fissità di una marcia inarrestabile), dall'altra la distanza allontanante di una civiltà vista attraverso le sue reliquie, i suoi simboli, ormai privati di significato da una lontananza che è allo stesso tempo storica e di dimensione.
Si veda ad esempio la dialettica del racconto come è espressa nel dipinto Di gente nuova è la loro lingua... (1976; cfr. ill. n. 56), in cui la presenza del conquistatore (con quanto esso di più generale simboleggia) risulta violenta nella sua estraneità al contesto: contesto fatto di simboli perduti nella loro fissità sospesa di sopravvivenze.
Si rilevi del resto come il racconto proceda qui non solo in via narrativa, ma si proponga con una chiarezza di immagine che è mutuata dalla variazione sulla forma e sul linguaggio operata da Bonomi: un intervento che va dal segno caricato, organico al personaggio, ad una rarefazione quasi grafica (la distanza psicologica e storica che propone alle immagini ad esempio la mediazione delle tavole di un manuale di archeologia) dei segni nella trascrizione delle forme e dei simboli delle antiche civiltà, che così vengono ad essere spiazzate in una dimensione del fantastico, mentre le presenze dei conquistatori assumono la brutale violenza del reale. E qui l'estensione al presente di tale rapporto può essere immediata, come avviene in un dipinto del 1974/75, Esoterismo (cf. ill. n. 52), in cui il riferimento con un'interpretazione latamente politica delle vicende dell'America latina (il Cile?) è trasparente, fino a diventare simbolo di una più generale condizione di violenza.
A questa analisi della violenza insita nel reale, dilatata dalla dimensione dell'incubo alla concretezza stessa del reale quotidiano, si impronta del resto la produzione più recente di Bonomi, con una rivisitazione, caratterizzata allo stesso tempo da un rinnovato vigore formale, dei mostri fuoriuscenti dal mare delle ormai lontane Mitologie marine del 1973, nei dipinti del 1976/1977 della serie del Mare infinito, in cui si ripropongono nella loro veste di personaggi con una più intensa ed angosciata ambiguità.